Come difendersi dalle discriminazioni

Discriminazione: che cosa è, come tutelarsi

Tutti noi capiamo, intuitivamente, che la discriminazione è un comportamento odioso e brutto, in grado di nuocere alle persone e di comportare difficoltà nella loro vita. Non a caso, la discriminazione è in linea di massima proibita: sono numerose le norme internazionali che vietano la discriminazione, inserendo il c.d. principio di non discriminazione.

Vediamo cosa prevede, a livello normativo, l’Italia contro la discriminazione ed in particolare in quale modo è possibile difendersi e fare valere i propri diritti, quando si ritiene di essere vittima di discriminazione ad esempio in campo lavorativo, pubblico o privato, di accesso ai servizi e via dicendo.

Normativa anti discriminazione a livello italiano

A livello nazionale, ad esempio, la nostra stessa Carta Costituzionale vieta la discriminazione, sancendo, al suo articolo 3, il principio di uguaglianza in senso formale e sostanziale.

In Italia, poi, c’è anche altra normativa che disciplina il principio di non discriminazione: ad esempio, la legge numero 205 del 25 giugno 1993 sancisce, in materia di misure urgenti per la discriminazione razziale, religiosa, etnica, che l’utilizzo di slogan e azioni connessi all’ideologia nazifascista, che hanno come scopo l’incitazione alla violenza o alla discriminazione per motivi nazionali, etnici, razziali, religiosi è condannata ed è sottoposta a specifiche sanzioni.

Questa non è l’unica normativa italiana che sancisce lo specifico divieto di discriminazione e prevede delle condanne.

Abbiamo infatti anche il decreto legislativo numero 215 del 9 luglio 2003, normativa in attuazione di legge europea, che prevede che nel mondo del lavoro, ma anche nell’assistenza sanitaria, nell’accesso a servizi, beni, istruzioni, prestazioni sociali di ogni genere non si possa essere sottoposti a discriminazione per razza, o origine etnica: sia nel privato che nel pubblico.

Il decreto legislativo n. 216 del 2003, anche esso in attuazione di una direttiva europea, sancisce il principio di non discriminazione e di parità di trattamento per quello che riguarda l’occupazione e le condizioni lavorative, sia nel settore pubblico che privato: un importante passo avanti per vietare e combattere la discriminazione, ad esempio, per genere, per handicap, religione, convinzioni personali, età e via dicendo.

Infine, un’altra importante normativa italiana per quello che riguarda la lotta alla discriminazione è il decreto legislativo numero 286 del 98, che, agli articoli 43 e 44, prevede una azione da avviare nel processo civile nei casi in cui si sia vittima di discriminazione.

Questo decreto, noto come Testo Unico sull’Immigrazione, individua anche quali sono i comportamenti discriminatori: sono quelli che, in maniera diretta o indiretta, operano una differenza di trattamento, preferenza, esclusione o restrizione che sia motivata dalla religione, etnia, razza, colore o nazionalità della persona, e che abbiano come intento quello di distruggere, compromettere il riconoscimento o l’esercizio paritario dei diritti umani e delle libertà umane.

La discriminazione diretta ed indiretta

La discriminazione, ai sensi della normativa Italiana, può non essere meramente diretta ma anche indiretta.

Si chiama discriminazione diretta quella che viene operata trattando una persona in maniera meno favorevole perché appartiene ad una diversa razza, etnia, ha una certa religione, un determinato orientamento sessuale. Ad esempio, è discriminatoria una offerta di lavoro che esclude i cittadini stranieri in linea di principio.

Invece, la discriminazione indiretta non è sempre così facile da riconoscere: questo trattamento comporta un pregiudizio nei confronti di determinati soggetti perché appartenenti ad una certa razza, etnia, religione e via dicendo, ma lo fa operando per mezzo di criteri che, dal punto di vista formale, appaiono neutri e non discriminatori.

Per esempio, un annuncio di locazione che richieda che i potenziali conduttori siano residenti in Italia da un certo numero di anni, potenzialmente esclude i cittadini stranieri. Non è detto che questa condotta sia discriminatoria e quindi vietata: essa è lecita, se è perpetrata per raggiungere finalità lecite.

Cos’è l’azione civile contro la discriminazione

Ma vediamo, più nel dettaglio, proprio questa ultima normativa, che contiene la specifica indicazione di come è possibile agire quando si sia vittima di discriminazione e si decida quindi di intraprendere l’azione civile disciplinata negli articoli 43 e 44 del Testo Unico sull’Immigrazione.

Il Testo Unico, all’articolo 44, ci insegna in che modo è possibile difendersi se si ritiene di essere vittima di un atto di discriminazione, da parte di un privato o della pubblica amministrazione.

Innanzitutto, come abbiamo detto, possiamo considerare potenzialmente discriminatorio l’atto di un pubblico ufficiale o di un privato che, per motivi etnici, religiosi, nazionali, razziali, e via dicendo opera una discriminazione.

In questi casi, il giudice civile può richiedere la cessazione del comportamento che viene riconosciuto discriminatorio (anche in via di urgenza, se ritiene che sia direttamente pregiudizievole) e può anche ordinare che vengano rimossi, per mezzo di ordinanza, gli effetti causati dalla discriminazione.

L’azione in questione stabilisce che la competenza territoriale è del giudice del luogo di domicilio della presunta vittima (e non del convenuto); inoltre le parti possono stare in giudizio personalmente, ovvero non hanno bisogno di nominare un avvocato.

Il giudizio anti discriminatorio viene incontro alla presunta vittima, prevede infatti un onere probatorio (che come noto è a carico dell’attore) alleggerito: il ricorrente deve solo fornire elementi che facciano desumere che vi sia stata una condotta discriminatoria.

L’azione anti discriminatoria permette quindi alla vittima potenziale di discriminazione di poter agire per la tutela dei suoi diritti e l’eliminazione degli effetti della condotta o atto discriminatorio.

La pronuncia del giudice mira ad accertare che i) vi sia stata effettivamente una condotta discriminatoria e ii) che vengano rimossi i suoi effetti (ad esempio ordinando il ripristino della situazione precedente) e la cessazione del comportamento, se ancora in corso.

Cosa fare se si teme una ritorsione per la denuncia

Temere una ritorsione se si denuncia un comportamento di discriminazione è abbastanza normale.

Per questo ci sono associazioni che assistono le presunte vittime di discriminazione, che stanno in giudizio e addirittura agiscono in giudizio per conto del soggetto. Anche le associazioni sindacali svolgono questo tipo di lavoro.

Chi ritiene di essere stato discriminato ha la possibilità di contattare l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali al suo contact center: il numero verde, gratis, è 800 90.10.10, disponibile da lunedì a venerdì dalle 8 alle 17.

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