Il permesso di soggiorno per motivi religiosi e il contributo al SSN
Novità in materia di permessi di soggiorno e contributo al SSN: per chi richiede il permesso di soggiorno per motivi religiosi, il contributo al sistema sanitario nazionale è stato abbassato da 2mila euro a 700 euro.
Come noto, il titolare di permesso di soggiorno che voglia usufruire dell’assistenza del sistema sanitario nazionale italiano è tenuto al pagamento di un contributo annuale, per l’iscrizione che non è obbligatoria in questi casi.
Iscrizione al SSN o assicurazione sanitaria
In alternativa all’iscrizione all’SSN, il titolare di permesso di soggiorno per motivi religiosi può anche sottoscrivere una assicurazione sanitaria che valga su tutto il territorio nazionale. Così è previsto dall’art. 34 comma 3 del decreto legislativo n. 286 del 1998, c.d. T.U. dell’immigrazione.
Il contributo, nel primo caso, deve essere di minimo 2mila euro come previsto dalla legge di bilancio del 2024 che ha modificato il TU immigrazione: si tratta di un aumento significativo visto che il contributo, fino al 2023, era di 387 euro.
Detto contributo annuale è stato ridotto, per chi chiede un permesso di soggiorno per motivi religiosi, da 2mila euro annui a 700 euro all’anno, dal decreto legge n. 39 del 29 marzo 2024, che prevede quindi che gli stranieri che chiedano il permesso di soggiorno per motivi religiosi, e che quindi come da normativa non sono obbligati a iscriversi al SSN, possono iscriversi pagando lo stesso contributo che è previsto per i titolari di permesso di soggiorno per studio, ovvero 700 euro annui.
La motivazione di questa modifica sta nel fatto che la celebrazione del Giubileo della Chiesa comporterà un grande afflusso di pellegrini e di turisti che quindi potranno, col permesso di soggiorno per motivi religiosi, ottenere anche un trattamento agevolato se decidono di iscriversi al SSN.
Ovviamente il permesso di soggiorno per motivi religiosi vale per ogni credo e non solo per quello cattolico.
L’iscrizione volontaria al SSN per il 2024 per titolari di permesso di soggiorno per permesso di soggiorno per motivi religiosi si riferisce all’anno solare, quindi vale fino al 31 dicembre 2024, non può essere frazionato, non ha decorrenza retroattiva.
Conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a lavoro subordinato
La conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a lavoro subordinato è stata per lungo tempo una questione controversa alla quale alcuni Tribunali hanno dato una interpretazione differente rispetto quella del Ministero dell’Interno con il risultato che l’Amministrazione statale è risultata più volte soccombente nei ricorsi che venivano proposti al TAR al fine di ottenere l’annullamento del diniego della conversione del permesso di soggiorno.
La soluzione alla questione interpretativa è stata impulsata dall’Atto Camera n. 9/02977-A/008 del 10 giugno 2015, nel quale la stessa Camera dei Deputati ha richiesto al Governo un intervento chiarificatore in materia. A tal fine il Governo ha richiesto al Consiglio di Stato di fornire il proprio parere in merito, parere che è stato espresso nell’adunanza del 15 luglio 2015, nel corso della quale il Consiglio stesso ha emesso il parere N.1048/2015.
A sua volta, il Ministero dell’Interno ha successivamente emesso la Circolare Ministeriale 27 agosto 2015 n. 4621 nella quale, basandosi sul già citato parare del Consiglio di Stato, ha posto fine alla spinosa questione della convertibilità o meno del permesso di soggiorno per motivi religiosi in lavoro subordinato o autonomo.
La questione della convertibilità del permesso di soggiorno
Il Consiglio di Stato nel proprio parere N. 1048/2015 ha espressamente chiarito che la normativa vigente non prevede la conversione del permesso di soggiorno per motivi religiosi in permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Il permesso di soggiorno per motivi religiosi viene rilasciato in deroga alle regole ordinarie e generali stabilite dall’art. 14 d.P.R. n. 394/1999 con un’unica ragione: svolgere nel territorio nazionale l’attività strettamente collegata al proprio ministero religioso.
Questo permesso viene rilasciato a soggetti “privilegiati” per garantire il diritto alla libertà di culto, che è costituzionalmente garantito, nonché quello di libera professione religiosa e di libera propaganda religiosa, ugualmente garantiti a livello costituzionale. Consentire che i soggetti che hanno ottenuto un permesso di soggiorno per motivi religiosi possano convertire lo stesso in altro tipo di permesso di soggiorno influirebbe sulla par condicio a carico dei richiedenti non “privilegiati”, creando dunque situazioni di discriminazione.
Il Consiglio di Stato ha dunque chiaramente espresso che, nel momento in cui i presupposti che hanno portato al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi religiosi vengono meno, ad esempio perché il titolare di tale permesso intenda dedicarsi ad attività di lavoro autonomo o di lavoro subordinato, questi non ha più diritto a trattenersi nel territorio nazionale, essendo venuto meno l’unico presupposto di entrata.
Il Consiglio di Stato ha inoltre inequivocabilmente chiarito che il titolare del permesso di soggiorno per motivi religiosi non vanta un diritto alla conversione dello stesso in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o di lavoro autonomo.
E questo anche volendo sostenere che le ipotesi di conversione del permesso di soggiorno rilasciato per motivi religiosi e indicate all’art 14 d.P.R. n. 394/1999 non siano tassative.
Infatti per il rilascio del permesso è necessario essere in possesso della effettiva condizione di “religioso” nonché di documentate garanzie circa il carattere religioso delle attività addotte a motivo del soggiorno in Italia.
Ne consegue che lo speciale permesso di soggiorno per motivi religiosi è valido fin quando il beneficiario si dedica ad attività religiose e di culto; al venir meno di queste condizioni, questi dovrà lasciare il territorio italiano oppure conseguire un diverso permesso di soggiorno, senza poter invocare la conversione di quello che già possiede.
Le disposizioni contenute rispettivamente nell’art. 6 del DPR 286/98 e nell’art. 14 del DPR 394/99, infatti, prevedono che solo i permessi di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, lavoro autonomo e familiari possano essere utilizzati anche per le altre attività e, al contempo, dette disposizioni stabiliscono che solo i permessi di soggiorno rilasciati per motivi di studio e formazione possano essere convertiti in altro tipo permesso di soggiorno.
Pertanto il parere del Consiglio di Stato e la circolare ministeriale 27 agosto 2015 n. 4621 pongono fine alla questione della convertibilità o meno del permesso di soggiorno per motivi religiosi in lavoro subordinato o autonomo
Consiglio di Stato Parere N. 1048/2015
La normativa vigente (art. 14 d.P.R. n. 394/1999) non prevede la conversione del permesso di soggiorno per motivi religiosi in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, in deroga alle regole ordinarie e generali stabilite per quest’ultimo.
Il permesso di soggiorno per motivi religiosi consente al titolare di svolgere l’attività lavorativa strettamente collegata al proprio ministero religioso e deve essere distinto dai permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro subordinato o di lavoro autonomo.
L’unica ragione per la quale la persona ha ottenuto il permesso di soggiorno è stata quella di svolgere nel territorio nazionale l’attività strettamente collegata al proprio ministero religioso, ovvero, l’ingresso in Italia è determinato da motivazioni religiose. Se tali presupposti vengono meno, perché i titolari di tali permessi intendono dedicarsi ad attività (profane) di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, viene a mancare l’unico presupposto di entrata e di permanenza nel territorio nazionale ed il soggetto non ha più ragione di trattenervisi.
Il titolare del permesso di soggiorno per motivi religiosi non vanta un diritto alla conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o di lavoro autonomo anche se questo non è esplicitamente escluso dall’articolo 14 sopra citato.
Anche a non ritenere tassative le ipotesi di conversione di cui all’art 14 del menzionato d.P.R. n. 394/1999, sebbene la tassatività appaia più coerente con il sistema delle quote e in tal senso è una recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. III, n. 2292/2013), la risposta al quesito è comunque nel senso di escludere la facoltà di conversione per la fattispecie prospettata nel quesito.
Giusta il disposto dell’art. 5, comma 2, d. lgs. n 286/1998 il permesso di soggiorno per l’esercizio delle funzioni di ministro di culto può essere concesso seguendo speciali modalità di rilascio da stabilire nel regolamento di esecuzione ed il decreto ministeriale 12 luglio 2000 elenca i requisiti e le condizioni per l’ottenimento del visto d’ingresso per motivi religiosi e cioè:
a) l’effettiva condizione di “religioso”;
b) documentate garanzie circa il carattere religioso della manifestazione o delle attività addotte a motivo del soggiorno in Italia.
c) nei casi in cui le spese di soggiorno dello straniero non siano a carico di enti religiosi, l’interessato deve disporre di mezzi di sussistenza non inferiori all’importo stabilito dal Ministero dell’interno con la direttiva di cui all’art. 4, comma 3, t.u.
Inoltre, i permessi di soggiorno per motivi religiosi non sottostanno alle inerenti restrizioni quantitative fissate secondo i paesi di provenienza (art. 3, comma 4, t.u. d. lgs. n. 286/1998) per i permessi da lavoro subordinato e qualora commutate, influirebbero sulla par condicio a carico dei richiedenti non “privilegiati”.
È ben vero che con l’art. 40, del citato d.P.R. 394/1999 si è voluto escludere la possibilità della conversione di permessi di soggiorno avuti ad un determinato titolo, e che, tra questi non è ricompreso quello per motivi religiosi. È però altrettanto vero che la disciplina vigente per gli ingressi e soggiorni per motivi religiosi deriva non soltanto dalle norme sugli stranieri, ma anche dal tipo di rapporto esistente tra la Repubblica italiana e le diverse confessioni religiose ed ha quindi carattere di specialità.
Infatti, a livello costituzionale è garantito ad ogni persona, sia essa cittadina o straniera, la libertà di culto, in privato e in pubblico (con la sola esclusione dei riti contrari al buon costume), la libertà di professione religiosa e la libertà di propaganda religiosa (art. 19 Cost.) e ogni confessione religiosa è egualmente libera di fronte alla legge (art. 8, comma 1 Cost.).
Ne deriva che l’entrata nel territorio nazionale ed il rilascio del permesso di soggiorno per motivi religiosi segue un iter particolare ed agevolato, soggetto ad una verifica di mera regolarità formale, fin quando il beneficiario si dedica ad attività religiose e di culto. Nei casi in cui tale “vocazione” viene meno il soggetto non ha più ragione di trattenersi nel territorio italiano (vedasi anche articolo 5, comma 5, del d. lgs. n. 286/1998) e se vuol rimanervi ad altro titolo come, nel caso di specie, per espletare attività lavorativa subordinata, dovrà conseguire un permesso di soggiorno specifico per l’attività che intende svolgere, secondo la normativa vigente.
La specificità ed eccezionalità della disciplina concernente il rilascio del permesso di soggiorno per motivi religiosi esclude che si possa ritenere che, allo stato dell’attuale normativa, in mancanza di una disposizione esplicita, le fonti normative prevedano la facoltà di conversione del permesso di soggiorno rilasciato per motivi religiosi in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Consiglio di Stato 16 luglio 2018 n. 4317 : divieto conversione e rilascio permesso lungo periodo UE
Il permesso di soggiorno per motivi religiosi non è convertibile ma sussistendo i requisiti dell’art. 9 Testo Unico Immigrazione , consente però il rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo UE (ex carta di soggiorno).
Poiché ragioni di eguaglianza rendono necessario che tutti gli stranieri extracomunitari, che entrano nel territorio dello Stato, siano assoggettati agli stessi principi che regolano l’ingresso, la particolare motivazione sottesa all’ingresso per motivi religiosi induce a concludere che se queste ragioni vengono meno lo straniero non può approfittare del titolo così acquisito e chiederne la conversione del permesso in altro.
MINISTERO DELL’INTERNO
CIRCOLARE 27 agosto 2015 n. 4621
Conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a lavoro subordinato.
Si fa riferimento alla normativa riguardante la conversione dei permessi di soggiorno prevista dall’art. 14 del D. P. R. n. 394/1999
Tale normativa, come noto, non prevede la conversione del permesso di soggiorno per motivi religiosi in permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo. Quindi, in linea con quanto stabilito dal legislatore, questa Amministrazione ha ritenuto non accoglibili le istanze presentate dai religiosi finalizzate ad ottenere la predetta conversione.
Al riguardo, si è rilevata una giurisprudenza non sempre univoca rispetto alla linea seguita da questa Amministrazione nell’applicazione di tali disposizioni normative.
Infatti, negli ultimi anni questa Amministrazione è risultata più volte soccombente nei ricorsi proposti innanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali per l’annullamento dei provvedimenti di diniego delle citate richieste di conversione.
Atteso tale non univoco orientamento, ed a seguito dell’Atto Camera n. 9/02977-A/008 del 10/06/2015,con il quale la Camera dei Deputati ha presentato all’ordine del giorno l’impegno del Governo a dipanare i dubbi interpretativi in merito alla normativa in oggetto, questo Ufficio ha ritenuto opportuno richiedere l’avviso del Consiglio di Stato nella controversa materia.
Al riguardo il Consiglio di Stato, con parere N.1048/2015, espresso nell’adunanza in data 15 luglio 2015, ed acquisito in data 25 agosto 2015, ha ritenuto di confermare l’applicazione della normativa così come operata da questo Ministero, in quanto la specificità ed eccezionalità del permesso di soggiorno per motivi religiosi esclude, in mancanza di una disposizione esplicita, la facoltà di conversione di detto permesso in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
E’ stato, infatti, sottolineato dal Consiglio di Stato che l’unica ragione per la quale un cittadino straniero ottiene il permesso di soggiorno per motivi religiosi e quella di svolgere nel territorio nazionale l’attività strettamente collegata al proprio ministero religioso e che se tali presupposti vengono meno perché il titolare di tale permesso intende dedicarsi ad attività lavorativa – viene a mancare l’unico presupposto di entrata e di permanenza nel territorio nazionale.
Difatti, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi religiosi, ai sensi dell’art. 5 comma 2 del TU. immigrazione , segue un iter particolare ed agevolato, ed il suo rinnovo è previsto fin quando il beneficiario si dedica ad attività religiose e di culto; oltre a ciò, tali permessi di soggiorno non sottostanno alle restrizioni quantitative fissate per i permessi di lavoro e, qualora commutati, influirebbero sulla par condicio a carico dei richiedenti non”privilegiati”.
Secondo l’Alto Consesso, infatti, le disposizioni contenute rispettivamente nell’art. 6 del DPR 286/98 e nell’art. 14 del DPR 394/99, in base ai quali solo i permessi di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, lavoro autonomo e familiari possono essere utilizzati anche per le altre attività consentite, e solo i permessi di soggiorno rilasciati per motivi di studio e formazione possono essere convertiti, si devono ritenere non suscettibili di interpretazione estensiva.
Pertanto, la normativa vigente non consente di accogliere la richiesta di conversione dei permessi di soggiorno per motivi religiosi in permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo.
avvocato per stranieri
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