Licenziamento se lo straniero non conosce la lingua: è legittimo ?
Un qualsiasi lavoratore teme sempre di poter essere licenziato dal suo datore. È normale che dietro una decisione così drastica possa esserci una miriade di motivazioni non condivise dal dipendente. Ma per gli stranieri il discorso diventa un po’ più complesso.
Molte volte, chi non parla bene l’italiano può incorrere in difficoltà di approccio con il suo datore o in genere nel luogo di lavoro.
Può essere questo motivo di licenziamento?
E soprattutto si configura lecito questo licenziamento. Ad occuparsi di una situazione simile è stato il Tribunale di Busto Arsizio. Vediamo la vicenda.
La vicenda nel dettaglio
Più nel dettaglio, un dipendente straniero aveva reagito al licenziamento chiedendo all’azienda presso cui lavorava di essere reintegrato in azienda.
La giustificazione del datore di lavoro è stata al quanto “bizzarra”: ovvero che non potevano riprendere il soggetto dentro l’organico in quanto il lavoratore in questione non parlava bene l’italiano.
Spesso nel mondo del lavoro si è soggetti a questa forma di razzismo o discriminazione.
In tal caso si parla di licenziamento discriminatorio in quanto basato su motivazioni legate al sesso, alle ragioni politiche, religiose, razziali, etniche, nazionali, di orientamento sessuale, di handicap e di affiliazione sindacale.
Il caso in questione è rientrato in questo novero (il licenziamento discriminatorio è sempre nullo).
Il licenziamento ritorsivo
Distinto dal discriminatorio c’è il licenziamento ritorsivo detto anche rappresaglia. Si tratta di una presa di posizione del datore di lavoro (ingiusta) rispetto ad un atteggiamento assunta dal lavoratore o da altra persona ad esso legata.
Secondo la legge, questo tipo di licenziamento non è valido nel momento in cui il motivo posto in essere rappresenta la sola ragione che ha spinto il datore a recedere dal contratto di lavoro.
Tuttavia, se pure ingiustificato, quando il recesso si ricollega a più motivi, e dunque la rappresaglia è solo uno dei tanti, il licenziamento non si configura come nulla ma soltanto illegittimo/ingiustificato.
Come provare se il licenziamento sia ritorsivo o discriminatorio
Il lavoratore può in questo caso agire in giudizio; va cioè ad impugnare il recesso quando crede che il datore di lavoro sia stato discriminante o ritorsivo.
Sarà compito dell’ex dipendente di fornire la prova delle motivazioni poste a base del licenziamento.
Più nello specifico, quando si tratta di rappresaglia, il lavoratore deve dimostrare che quello sia la sola ragione su cui si è fondato il datore. In tal caso occorrono i testimoni.
Nel caso posto in esame al tribunale di Busto Arsizio, il lavoratore straniero deve dare la prova che ha le conoscenze e le abilità per svolgere le mansioni di cui si occupava in azienda.
Deve cioè dimostrare di non essere di intralcio a colleghi e di non venire meno a quelle che sono le richieste da contratto.
La causa in giudizio può essere vinta con più facilità se il dipendere prova che il datore di lavoro abbia usato come pretesto la poca conoscenza della lingua.
Insomma, il vero scopo del datore deve apparire tutt’altro che funzionale al benessere aziendale.
Le conseguenze
Appare dunque evidente che il licenziamento discriminatorio e il licenziamento ritorsivo possono apparire nulli per i motivi poc’anzi citati. Ragion per cui, il lavoratore ha diritto:
- Ad essere reintegrato sul posto di lavoro o, in alternativa, al pagamento di 15 mensilità;
- A ricevere il pagamento di tutte le retribuzioni perse dalla data del licenziamento fino alla reintegra;
- A ricevere una regolarizzazione previdenziale per il periodo in cui non ha lavorato.
Per le motivazioni argomentate, nel caso specifico del dipendente straniero licenziato a causa della sua poca abilità linguistica, siamo davanti ad un licenziamento nullo, in quanto il pretesto avanzato dal datore di lavoro è fine a se stesso.
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