Riconoscimento dello status di apolide: la procedura e i chiarimenti
Negli ultimi anni sono stati compiuti molti passi avanti per mettere un freno al fenomeno dell’apolidia, una condizione che continua a riguardare milioni di persone nel mondo.
Tuttavia, stando agli ultimi dati emersi dall’indagine dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, in tutto il mondo si contano ancora circa 4,2 milioni di apolidi, anche se è presumibile che la cifra sia in realtà decisamente più elevata: sono molti, infatti, i Paesi che non raccolgono dati sull’apolidia.
Anche per questo, l’UNHCR ha lanciato nel 2014 una campagna che prende il nome di #IBelong, con l’obiettivo di eliminare l’apolidia entro il 2024.
Apolide, cosa significa?
Una persona che non viene considerata cittadino da nessuno Stato. Questo determina l’apolidia di un essere umano, in base a quanto stabilito dalla Convenzione di New York del 1954. Molti dei 4,2 milioni ancora apolidi hanno questa condizione dalla nascita, ma tanti diventano apolidi dopo aver perduto la cittadinanza che invece avevano in precedenza, senza riuscire ad ottenere quella di un altro Paese.
Tuttavia, le situazioni che possono portare all’apolidia sono diverse.
Ad esempio, si è apolidi dalla nascita quando i propri genitori lo sono altrettanto oppure è impossibile ereditare la loro cittadinanza; l’apolidia si presenta anche quando si fa parte di un gruppo sociale a cui è negata la cittadinanza sulla base di una discriminazione, oppure se si è profughi in seguito a guerre o occupazioni militari.
Altri casi che possono portare all’apolidia sono il dissolvimento dello Stato di cui si era cittadini in precedenza, con la formazione di nuove entità nazionali (basti pensare alla caduta dell’URSS o l’ex Jugoslavia), oppure incongruenze o lacune riscontrabili nelle leggi sulla cittadinanza dei vari Stati.
In Italia la legge n.306 del 1 febbraio 1962 ha chiarito lo status degli apolidi e la relativa protezione internazionale. Risale invece al 10 settembre 2015 l’approvazione da parte del Parlamento italiano della legge di adesione alla Convenzione sulla riduzione dell’apolidia del 1961.
Apolidi in Italia, quanti sono e come si riconosce lo status
Ad oggi, sempre stando ai dati forniti dall’UNHCR, i soggetti apolidi o a rischio apolidia in Italia sono circa 3.000: nella maggior parte dei casi si tratta di persone che appartengono a comunità Rom originarie proprio della ex Jugoslavia, situate in Italia ormai da tempo.
Altri apolidi provengono invece da territori come l’ex Unione Sovietica, Cuba, il Tibet e i Territori Palestinesi Occupati.
Tra le raccomandazioni inviate dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati al Governo italiano c’è la disposizione di procedure trasparenti, efficaci ed accessibili per la determinazione dello status di apolide, così come la necessità di prevenire la stessa alla nascita garantendo l’effettiva acquisizione della cittadinanza per i minori altrimenti apolidi.
Inoltre, l’UNHCR ha raccomandato di proteggere le persone apolide prive di documenti e pertanto a rischio di ingiusta detenzione o espulsione.
Si può riconoscere l’apolidia sia attraverso il procedimento amministrativo che tramite il procedimento giurisdizionale.
Nel primo caso la procedura è competenza del Ministero dell’Interno – Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione, a cui è necessario inviare un modulo dove si chiede il riconoscimento dell’apolidia.
Al modulo vanno allegati l’atto di nascita, il certificato di residenza, la copia autenticata del permesso di soggiorno e tutti i documenti che possano dimostrare lo stato di apolide, come ad esempio un’attestazione che sottolinea come l’interessato non sia in possesso di cittadinanza, rilasciata dall’autorità consolare del Paese di origine o di ultima residenza.
Di norma i tempi di attesa per il riconoscimento dello status di apolide sono pari a due anni. Nel caso la domanda venisse rigettata, il richiedente può rivolgersi al giudice tramite il procedimento giudiziario: una strada che può essere percorsa anche come alternativa rispetto a quella amministrativa.
Permesso di soggiorno durante l’iter per il riconoscimento dell’apolidia: facciamo chiarezza
Permesso di soggiorno per attesa apolidia
Il permesso di soggiorno per “attesa apolidia”, ovvero un titolo rilasciato in attesa che l’iter per il riconoscimento dello status di apolide vada a compimento, è possibile solo se il richiedente è già in possesso di un permesso di soggiorno per altri motivi, come espressamente chiarito nell’art.11, 1° comma, lett. c), d.p.r. 31 agosto 1999, n. 394.
Nell’art.9, 6° comma viene anche precisato che la persona che richiede questo tipo di permesso di soggiorno viene esentata dall’obbligo di esibire un passaporto valido e della documentazione che fa riferimento alla disponibilità di sufficienti mezzi di sussistenza, di un alloggio idoneo e di mezzi per il ritorno nel Paese di origine.
Di fatto, questo titolo di soggiorno può essere rilasciato solo in caso di “apolidia successiva”, vale a dire alle persone già regolarmente soggiornanti in Italia ad altro titolo che hanno perso la cittadinanza originaria e hanno avviato un procedimento amministrativo e giudiziario per essere riconosciuti come apolidi (anche se in alcuni casi sono stati accolti ricorsi in situazioni differenti).
Permesso di soggiorno per apolidia
Con il riconoscimento dello status di apolide è possibile avere diritto ad un permesso di soggiorno per apolidia, che viene ritenuto valido per lo svolgimento di attività lavorativa, con un trattamento analogo a quello garantito per i rifugiati. Dopo 5 anni di regolare residenza con permesso di soggiorno è possibile avanzare la richiesta per la cittadinanza italiana per apolidia
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