Un contratto di lavoro a tempo determinato può bastare per dimostrare l’integrazione in Italia?
Quando si tratta di decidere se un immigrato abbia o meno diritto ad accedere ad un permesso di soggiorno, per desumere le ‘intenzioni di integrazione’, è possibile considerare anche altri aspetti come per esempio l’avere svolto dei corsi di italiano, oppure l’avere un contratto di lavoro (anche a termine).
Questa, in poche parole, l’ultima decisione della Cassazione sul tema, che si è pronunciata esemplificando alcuni dei fattori dai quali è possibile desumere l’intenzione seria di integrarsi in Italia da parte di un soggetto straniero.
Corte di Cassazione sentenza n. 26089/2022
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 26089 (depositata il 5 settembre 2022) ha infatti ribadito, come del resto già in orientamento della Corte (si pensi ad esempio alle precedenti sentenze n. 24413 del 2021 o alla 16369 del 2022) che per poter decidere se un migrante, che non può accedere alla protezione internazionale, abbia diritto o meno al permesso di soggiorno, per capire la volontà di integrazione bisogna anche guardare altri elementi.
Il fatto di aver frequentato dei corsi per cercare di migliorare la conoscenza della lingua, ad esempio, è un fattore da valutare in questo senso. Ma anche l’essersi impegnato nel cercare un lavoro, anche se non a tempo indeterminato.
Cerchiamo di capire meglio quale fosse il caso di specie, e che cosa abbia rappresentato il giudizio della Corte di Cassazione.
Cosa dice nella motivazione la Corte di Cassazione
Nel caso di specie, un cittadino della Sierra Leone si era rivolto ai giudici per vedersi riconosciuto lo status di rifugiato (o altri status di protezione in subordine al mancato riconoscimento di questa prima richiesta). Tribunale ed appello però avevano rigettato la sua richiesta e la Cassazione lo ha invece accolto, anche se parzialmente.
La Cassazione ha invece ritenuto sussistente il diritto alla protezione umanitaria, non tanto perché il soggetto straniero stesse correndo rischi per la propria incolumità nel suo Paese, ma in quanto avesse dimostrato una intenzione seria di integrarsi nel Paese.
Indici di integrazione
Intenzione, questa, che viene desunta da una serie di indici – nel caso di specie il soggetto si era iscritto a corsi di lingua italiana ed aveva trovato un lavoro, anche se a tempo determinato.
Questa sentenza della Corte di Cassazione può essere considerata molto importante nell’ambito delle politiche migratorie, in quanto questa sentenza riconosce che anche un contratto di lavoro a termine, e quindi non a tempo indeterminato, può essere valutato come un fattore che è spia della volontà di integrazione.
Questo perché, ragiona la Cassazione, oggi in Italia trovare un contratto di lavoro a tempo indeterminato è faticoso anche per i cittadini italiani; di conseguenza, anche un contratto di lavoro a termine può essere considerato un buon indizio circa la volontà di integrazione del soggetto richiedente, senza sottoporlo alla difficoltà di reperire un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
In particolare, la Cassazione si riferisce al permesso di soggiorno per motivi umanitari, rilasciato ai sensi del TUI ed ora abrogati come categoria aperta (in quanto oggi come oggi possono solo essere rilasciati permessi speciali di soggiorno temporaneo per esigenze di carattere umanitario).
Nonostante il riferimento della Cassazione sia ad un tipo di permesso peculiare (che oggi come abbiamo detto non è più in vigore come categoria aperta), ciò non toglie che questa interpretazione possa essere ritenuta importante anche ai fini interpretativi per valutare quali siano gli indici di integrazione, compresa la volontà di integrazione, di un soggetto straniero.
Ciò, con peculiare riguardo al fatto che lo straniero abbia iniziato un percorso di studio della lingua, ed abbia un impiego di lavoro, anche se lo stesso non è a tempo indeterminato.