Il fenomeno delle spose bambine:
riconosciuto nel “Codice Rosso”
Da qualche giorno, l’ordinamento italiano si è arricchito di una nuovo DDL che è stato denominato Codice Rosso.
Indice dei contenuti
La nota particolare in questa muova normativa (recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”) sta nel pieno riconoscimento di un problema sociale diffusosi ad ampio spettro anche nel nostro Paese, quale cioè il fenomeno delle spose bambine.
Trattasi cioè della “costrizione o induzione al matrimonio”, il cui articolo di riferimento nel DDL ha lo scopo di tutelare le vittime dei cosiddetti matrimoni forzati.
Che cos’è il matrimonio forzato
Matrimonio forzato
Dicesi matrimonio forzato quell’unione in cui manca il consenso di almeno una delle due parti coinvolte.
Vengono annoverati pertanto in questo fenomeno tutti quei comportamenti violenti, minacciosi e coercitivi che costringono un soggetto a contrarre matrimonio o anche semplicemente a convivere con l’altra parte.
Matrimonio combinato
La fattispecie in questione non va confusa con il matrimonio combinato, che invece è uno status mentale e culturale attraverso il quale sono le famiglie dei nubendi a stabilire il partner migliore per il proprio figlio.
In linea di massima non ci dovrebbe essere costruzione in tal caso, in quanto la decisione ultima spetterebbe al soggetto che deve sposarsi.
Tuttavia può capitare che il combinato finisca con il convergere con la costruzione, in quanto può accadere che i genitori o i parenti pressino psicologicamente il figlio affinché segua la strada scelta da loro.
matrimonio forzato e reato induzione
Matrimonio precoce
Discorso a sé stante ma che rappresenta semplicemente una diramazione del matrimonio forzato è quello del matrimonio precoce.
In tal caso l’obbligo di unirsi con un partner involuto viene esperito ai danni di un minore di anni 18.
Essendo spesso il fenomeno legato al genere femminile, la società ha etichettato il fenomeno come “spose bambine”.
Il matrimonio forzato in Italia e le sue
caratteristiche
Pur trattandosi di un fenomeno che raramente coinvolge cittadini italiani, il nostro Paese è spesso teatro di questa problematica.
Soprattutto in virtù del fatto che i flussi migratori di questi ultimi anni hanno portato ad una variazione multietnica tale che le culture presenti sul territorio siano assai variegate.
In linea di massima, il matrimonio forzato si riconosce per i seguenti requisiti:
La costrizione al matrimonio scaturita da comportamenti coercitivi quali violenza fisica, violenze e pressioni psicologiche, economiche, emotive ed affettive;
L’obbligo quasi fisso da parte dei familiari alla coercizione matrimoniale. Il soggetto vessato sentendosi in dovere verso la famiglia intraprende una strada senza la sua volontà;
La trasposizione del matrimonio come contratto che avviene all’estero e non nel nostro territorio, per cui diventa difficile poter intervenire, in virtù del principio di territorialità del diritto penale.
La convenzione di Istanbul
Contrariamente ad altri paesi europei, in Italia non eravamo ancora muniti di un complesso normativo che potesse regolare questa vera e propria piaga sociale.
il nuovo reato 588 bis codice penale
In alcuni casi isolati l’intervento in materia, era permesso, de iure condito, facendo appello ad alcune fattispecie del codice penale, che sembrava potessero ben plasmarsi alla realtà del matrimonio forzato (in particolare quelle degli artt. 572, 605, 610, 609-bis, 609-quater c.p.).
Circa tuttavia la normativa sovranazionale, gli Stati Aderenti avevano obbligo e diritto di sanzionare penalmente il fenomeno sulla scorta della Convenzione di Istanbul.
Quest’ultima, all’art. 37 impone agli Stati firmatari di reprimere tutti quei comportamenti consistenti nel “costringere un adulto o un minore a contrarre un matrimonio” e nell’“attirare un adulto o un minore nel territorio di uno Stato estero, diverso da quello in cui risiede, con lo scopo di costringerlo a contrarre un matrimonio”.
Il Decreto “Codice Rosso”
Il nuovo DDL n. S. 1200 ha permesso una modifica del codice penale, con l’introduzione dell’articolo 558-bis, rubricato “costrizione o induzione al matrimonio”.
Questa norma, non solo cerca di adattarsi a quelli che sono gli ordinamenti europei (dal loro canto già ben organizzati a riguardo) ma si esprime proprio come moto di ribellione ad una violazione dei diritti fondamentali che troppo spesso coinvolge i minori, dando luogo al fenomeno delle Spose Bambine.
spose bambine e codice rosso
Il nuovo articolo 558 bis c.p.
Il nuovo articolo 558 bis c.p. si compone di 5 commi, ha una struttura molto semplice e prevede due distinte ipotesi di reato (rispettivamente al primo ed al secondo comma).
Il reato di induzione al matrimonio, punibile con la pena della reclusione da 1 a 5 anni, è commesso da “chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile”.
Art. 558-bis Costrizione o induzione al matrimonio
Ed ecco il testo normativo :
« Art. 558-bis. – (Costrizione o induzione al matrimonio) – Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile.
La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto.
La pena è da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia».